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LE COGNATE

Quindici donne in una cucina. Siamo a metà degli anni '60, e grazie ad uno dei tanti concorsi, quiz e indovinelli Germaine Lauzon entra virtualmente in possesso di una quantità smisurata di mobili, elettrodomestici, abiti e casalinghi: tutto il catalogo sarà suo, e gratis. Un milione di punti e quattordici vicine, sorelle e mezze parenti chiamate ad attaccarli ed a far da testimoni oculari di un avvenimento eccezionale: il trionfo di Germaine/Cenerentola e la fuga dal grigiore della sua cucina verso i fasti kitch di orrendi saloni in finto mogano, camere riscaldate da pelosissimi scendiletti, tappezzerie floreali ed un campionario strepitoso di pentole e vasellame, fino ai mitici bicchieri di vetro soffiato con disegno Caprice.
E' normale attendersi invidie e piccole cattiverie, ma Le cognate superano di gran lunga ogni previsione. Uno spettacolo veramente comico racconta sempre una grande tragedia umana. Le cognate fa molto ridere perché mette in scena un vero e proprio museo degli orrori. L'aspetto esterno di questo coro al femminile racconta di abissi interiori senza fondo. Donne tenute su con chili di lacca e smalto rosso, sempre in corsa affannosa dietro maschi-veri-maschi, traditori e puttanieri; oppure sfatte e maritate, affamate di centrini, col terrore di un dovere coniugale notturno che porta meno piacere di una rigovernatura; o ancora zitelle velenose ed asessuate, aggrappate alle loro camere a gas portatili: piccole borse dalle forme impossibili, puzzolenti di profumi dolciastri.
Quindici "maschere" che raccontano la storia del Quebec fine anni '60, ma parlano benissimo di miserie ancora attuali.

La scrittura di Tremblay mescola, con un'audacia tutta nordamericana, dialoghi di stampo popolare ed impianto naturalista con monologhi/confessioni e cori surreali (Una maledetta vita di merda, Ode alla tombola), che scartano verso una comicità quasi epica. Il giovanissimo autore, appena uscito di scuola, sostituiva le frustrazioni più casalinghe ai grandi temi della tragedia greca, per scandire a piena voce ed in modo esilarante la sottocultura più nera.

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