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LEGGERO, LEGGERO E PATAPIM E PATAPUM

Leggero, leggero, vuole essere un omaggio a quel teatro così detto “minore” che è stato apprendistato, scuola, formazione di grandi attori come Fregoli, Viviani, Maldacea, Petrolini, Pasquariello, Totò, Macario, Tascel, Dapporto e molti molti altri, tutti attori che si formano alle necessità del rapporto col pubblico.
Il teatro di prosa chiede rigidità preordinata, regole strette, tempi stabiliti. Il cafè-Chantant, il Varietè, l’Avanspettacolo, la Rivista ed infine il Cabaret, chiedono il fiuto del pubblico, l’intelligenza della spalla, il gusto dell’improvvisazione. Qui tutto è un insieme di piano e di sregolatezza, di ordine e di disordine da rimettere sempre in discussione. La prova del pubblico è tutto. Piacere è un dovere.
Se il pubblico si agita, rumoreggia, non ride, non applaude o, peggio ancora, fischia, se il numero non funziona, se la canzone o il balletto non piacciono, bisogna correre ai ripari.
L’esame spietato, le bocciature difficilmente rimediabili. E non è che i “tempi” siano più laschi e molli che nella prosa, al contrario. Solo vanno inventati dentro lo spettacolo, ricostruiti volta per volta, elaborati e fissati alla prova delloro successo.

Il testo conta relativamente: può e deve essere modificato dall’intervento dell’attore e, in definitiva, del pubblico. Il pubblico non sa quello che vuole,ma lo scopre assistendo, e allora sa come imporre il suo piacere, come rifiutare ciò che lo annoia e infastidisce. Si ripete ad ogni numero, a ogni sketch, a ogni macchietta la regola d’oro della commedia dell’arte: si recita insomma a soggetto, cogliendo l’occasione imprevista, insistendo sull’effetto riuscito, scartando quello fallito ed ogni superflua lungaggine.

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